In questo post darò alcune brevi indicazioni di lettura della celebre immagine del laboratorio dell’Alchimista tratta dal libro “Anfiteatro della Saggezza Eterna” di Heinrich Khunrath, Filosofo del XVI secolo, che illustra perfettamente il rapporto tra spiritualità ed operatività in alchimia. L’analisi della figura è un utile esercizio per entrare nella mentalità dei veri Filosofi. In queste brevi note non ho la pretesa di esaurire totalmente l’argomento che si presta a differenti livelli di lettura, senza considerare che ci ho perso gli occhi per cercare di decifrare le scritte minute.

Il Laboratorio dell'Alchimista
L’orientamento del tempio, perché la stanza ricalca la struttura di un tempio, si svolge lungo l’asse Nord-Sud.
All’interno vi sono, uno opposto all’altro, l’Oratorio ad Est ed il Laboratorio ad Ovest (Ora et Labora). Il gioco di luci ed ombre ci indica che è pomeriggio, probabilmente è il tramonto in quanto l’alchimista, alla fine della giornata di lavoro, è in ginocchio nell’atto di pregare. Infatti il lavoro dell’alchimista inizia con l’invocazione a Dio all’alba, perché è nell’oratorio che si riceve l’ afflatus, l’ispirazione divina, e termina al tramonto con la preghiera di ringraziamento. Davanti a lui si staglia un cartello con la scritta: Ne loquaris de Deo absque lumine che si traduce in Non parlare di Dio senza la Luce. La frase vuol significare che fare dell’alchimia equivale a parlare di Dio, ovvero voler imitare la sua opera azionando il motore della creazione. Ma per far questo bisogna avere la Luce, ivi simboleggiata dalla lampada ad olio. Non a caso Enea per scendere nell’Ade porta con sé in mano una palma d’oro, così come Dante si avventura nell’Inferno avendo a lato Virgilio, simboli entrambi della Luce divina, unica Luce inestinguibile. E’ questo il senso spirituale del detto alchemico “per fare l’oro bisogna avere l’oro”.
Sul tavolo all’interno dell’oratorio vi sono due libri aperti, in uno sono visibili due pentacoli, nell’altro si leggono le parole “timentium”, “YHWH”, “voluntate” e “P.145”. Si tratta del verso 19 del salmo 145 (psalmus in latino): “Dio farà la volontà di coloro che lo temono, ed esaudirà la loro preghiera, e li salverà”. Oltre a statuire la necessità della preghiera come mezzo operativo, questo versetto riconduce alla scritta sul primo dei tre gradini che sono necessari per entrare nel Tempio secondo l’ABC dei Rosacroce: su di esso è infatti inciso “Timor Domini” (abbi timore di Dio).
Sotto il tavolo dell’oratorio vi è un teschio ed una clessidra sovrastati dalla scritta “Disce bene mori” che vuol dire “Impara a morire bene”. Questa frase ha due significati: il primo è che il tempo passa velocemente e occorre non sprecarlo se si vuole raggiungere il termine della vita sicuri di aver ottenuto un minimo di continuià di coscienza che possa permettere di passare “indenni” attraverso il baratro della morte; il secondo è legato alla pratica necessaria per pervenire alla morte iniziatica da vivi.
Nella parte in alto al centro della stanza c’è un architrave con la scritta “Sine afflatu divino nemo unquam vir magnus” che si traduce in “Senza l’ispirazione divina nessun uomo (fu) mai grande”. Sotto c’è un lampadario a forma di stella a sette raggi, simboleggiante le sette operazioni alchemiche[i], le cui luci sono inestinguibili, infatti tutta la stanza è estremamente ricca di dettagli e non si nota nessuna scala, assolutamente necessaria per poter rifornire la lampada. Ancora una volta si ribadisce il concetto che l’alchimista può aver successo solo se le sue azioni sono ispirate dall’Alto e dunque può riuscire nell’opera solo se si trova in una condizione di purezza tale da poter richiamare su di sé la benevolenza e l’illuminazione divina.
Al centro della figura si vede il tavolo di lavoro su cui si fissano su carta le riflessioni e le idee ricevute dal piano mentale. Si nota la bilancia per pesare i corpi metallici necessari all’opera materiale, vi sono due libri di musica, di cui uno aperto e 4 strumenti musicali simboleggianti i 4 Elementi. Sui libri, così come sulla sedia, è disegnato un rombo, immagine della doppia tetractys, e quindi del numero 7 e del suo ricco simbolismo. Sulla tovaglia c’è una scritta leggibile con difficoltà: “Musica Sancta tristitia spirituumque malignorum fuga: quia spiritus Yhwh libenter psallit in corde gaudio pio perfuso” che si traduce in “La musica sacra è tristezza ed esilio degli spiriti maligni: perché lo spirito di Dio volentieri suona nel cuore pieno di gaudio virtuoso“. E’ un inno alla ricerca dell’Armonia e del Bello, e suggerisce di seguire l’ispirazione dell’arte quale strada di comunione con il divino. Gli strumenti sono tutti a corda, in quanto sono le vibrazioni sonore a generare le idee e successivamente le forme. La mente stessa è sostanza che vibra: l’uomo, musicista microcosmico, può risuonare eventi-forme di meravigliosa bellezza oppure di asimmetrica bruttezza. L’Ermete, si trova a metà di una corda/coscienza alle cui estremità da una parte vi è il Dio assoluto, l’ineffabile Ain Soph dei cabalisti, e dall’altra vi è l’Ego, la personalità dell’attuale incarnazione. Se si riuscisse a polarizzare la mente a metà di questa corda, il proprio udito interno si aprirebbe perché la corda/coscienza sarebbe esaltata da un’adeguata potenza o frequenza vibratoria[ii].
A fianco del tavolo si vedono tre apparecchi: il Maturandum, che serve per la cottura a bagnomaria; il Festina-Lente (Affrettati lentamente)[iii], che serve per la cottura lenta, e un distillatore su cui si legge “Ama et Spt” (Anima e Spirito) da cui fuoriesce del fumo.
Sulla cappa del laboratorio si legge “Sapienter retentatum, succedet aliquando“, ovvero “Riprovando con saggezza, alla fine si perviene“. Non bisogna lasciarsi scoraggiare dai fallimenti, anzi devono essere spunto di correzione del proprio operato in quanto solo perseverando, solo rialzandosi ad ogni caduta si può giungere alla fine della strada: bisogna volere. Sulla cappa e sulle mensole vi sono degli alambicchi, due tetractys formate da pesi. Il contenuto degli alambicchi è evidenziato sugli stessi: Ros celi (rosa del cielo), Azoth, Hyle (prima materia), q pota. (oro potabile), sang. b (sangue di drago), S (mercurio), l (sale armoniaco), ecc.
Al di sopra della scritta Laboratorium si vede un gallo che sovrasta un elmo al di sotto del quale vi è una lapide triangolare su cui è disegnato il simbolo l del Sale[iv]. Il gallo con il suo canto preannuncia l’avvento della luce del Sole che illumina, ed è dunque preludio del conseguimento dell’opera; allo stesso tempo è anche il Sale che, avendo superato l’elmo, è stato rettificato e volatilizzato. Ancora più in alto si legge “Nec timere nec timide”, ovvero “né con timore né cautamente“: è l’invito ad osare.
La base delle due colonne del laboratorio recitano Ratio (ragione) ed Experentia (esperienza), sono le basi del sapere. Vicino la prima colonna si vede il mantice che, con il suo soffio, è uno strumento essenziale all’alimentazione del fuoco alchemico. Sul secchio pieno di carbone si legge: “Ne pudeat carbonum” che significa “non vergognarsi dei resti della combustione” infatti gli alchimisti ammoniscono di non gettare via le fecce o ceneri, ovvero quanto di corporeo, perché è proprio ciò che va trasmutato in spirito.
Al centro dell’immagine vi è una porta che conduce ad un’altra stanza. Guardando attentamente si vede un letto, cosa confermata dalla scritta sull’arco antistante: “Dormiens vigila”. Chi consegue l’Opera è ormai risvegliato, la sua coscienza si autosostiene nel centro animico, e pertanto mantiene sempre la stessa lucidità, contrariamente all’uomo comune, che oltre allo stato di veglia subisce quello del sonno e del sonno profondo senza sogni. Oltre a ciò, va notato che il laboratorio, luogo di lavoro, è anche la dimora dell’alchimista che è totalmente concentrato sul risultato dell’Opera: l’alchimia prevede un lavoro costante e continuo, che non lascia spazio all’improvvisazione in quanto il successo arriva solo dopo lunghi anni di penosi sacrifici.
Basti ricordare quanto afferma Bernardo il Trevisano ne “La Parola abbandonata”: Dopo aver lavorato per 40 anni alla ricerca della pietra, spendendo tutto il mio patrimonio, mi accorsi dove era il mio sbaglio. Cessai per due anni i lavori di laboratorio per studiare la teoria dei filosofi; poi in 9 mesi, con la Grazia del Supremo, riuscii finalmente a realizzare la benedetta pietra filosofale, della salute e della ricchezza.
Quaranta anni, tutta una vita dedicata all’alchimia. Un tale sforzo, proiettato nel nostro mondo così frenetico, può sembrare anacronistico e pertanto sembra lecito domandarsi se sia ancora tempo per praticare l’Alchimia. Ebbene, la risposta è affermativa; tutt’ora sono molte le persone che tengono accesi i loro fuochi nel tentativo di conseguire la Grande Opera: la ricompensa vale qualunque sforzo.
La chiave di riuscita è nel trinomio Orando, Perseverando, Laborando perché solo così, e con l’aiuto di Dio, alla fine si perviene.
[i] 1 calcinazione, 2 putrefazione, 3 soluzione, 4 distillazione, 5 sublimazione, 6 unione, 7 fissazione.
[ii] Secondo l’acustica musicale una corda pizzicata esattamente a metà produce 2 risultati: la sua vibrazione raddoppia in frequenza, ed il suono si eleva di un’ottava.
[iii] Affrettati lentamente è una locuzione utilizzata da molteplici alchimisti. A titolo esemplificativo si veda il cap 1 de La Grande opera svelata, A.A. : “Affrettatevi lentamente; ci vuol tempo a tutte le cose”. Secondo Svetonio, Festina lente! era anche il motto dell’imperatore romano Augusto.
[iv] I principi alchemici sono Zolfo (Spirito), Mercurio (Anima) e Sale (Corpo).
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